ALEXANDER CALVIN
Il violinista Calvin Alexander, ventenne, si è esibito negli Stati Uniti,Canada, Brasile, Spagna, Italia, Svizzera e Corea del Sud. Vincitore di primi premi in prestigiosi concorsi come il Tibor Varga Junior, il Cooper Competition e YoungArts, si è esibito come solista con la Dallas Symphony Orchestra, la Harvard-Radcliffe Orchestra, la Korean Chamber Orchestra e la Louisiana Philharmonic Orchestra.
Come camerista, ha collaborato con Itzhak Perlman, David Shifrin, Vijay Iyer e Andreas Brantelid in festival come il Perlman Music Program, NUME e Norfolk.
Alexander sta attualmente conseguendo la laurea triennale ad Harvard e il master al New England Conservatory sotto la guida di Donald Weilerstein. I suoi mentori più influenti includono Itzhak Perlman, Catherine Cho, Jan Sloman e il Brentano Quartet.
1. C’è stato un momento o un’esperienza specifica che ti ha fatto capire di voler diventare musicista?
Non sarei un musicista senza il Perlman Music Program. Questo programma mi ha fatto capire come la musica sia una forza d’amore che crea connessione e comunità. E sento di dover condividere quell’amore che mi è stato donato con tanta generosità.
2. Quando ti esibisci, cosa speri di comunicare o far provare al pubblico?
Nelle mie esibizioni, ciò che più mi sta a cuore è la vitalità emotiva. La musica offre un accesso diretto ai sentimenti umani in un modo che il linguaggio può solo sfiorare. Per questo, cerco di esplorare la complessità delle emozioni attraverso la libertà, l’onestà, la vulnerabilità e la riflessione.
3. Se dovessi presentarti suonando un solo brano di tutto il repertorio, quale sceglieresti e perché?
Una domanda impossibile! Ma dovrebbe essere sicuramente un'opera di Schubert. Trovo che la sua musica accolga il dolore profondo e allo stesso tempo cerchi di dargli una risoluzione. Anche se questo dolore forse non si risolve mai del tutto, il suo Quintetto “La Trota” ci va molto vicino. Qui, Schubert si affida a una gioia ingenua e giovanile per trasformare il dolore in conforto. Cerco di vivere non solo con la sua profonda sensibilità, ma anche con questo ottimismo gioioso – anche quando è difficile farlo.